Credo che ogni ciclista, professionista o semplice amatore che sia, subisca il fascino di qualche grande corsa: chi non sogna la Milano-Sanremo, oppure il Giro di Lombardia? Io, anche per il tifo che riversavo su Francesco Moser e per le caratteristiche di passista simili alle sue, fatte le debite proporzioni, ho sempre amato una classica, anzi la "Regina delle classiche" come è chiamata la Parigi-Roubaix. Dopo oltre quindici anni di gare mi sono buttato nelle gran fondo e scoprire che esisteva anche la "mia" Roubaix mi ha fatto molto piacere, così che nel 1996 ho deciso di iscrivermi e di partecipare. Destino vuole che circa un mese prima della corsa caddi stupidamente, mettendo la ruota anteriore su una bottiglia in plastica e scivolando a terra. Mi sono rialzato ed ho concluso la gara, ma il dolore alla coscia era fortissimo, tanto da non potere più riuscire a sganciare il pedale ed anche se avevo battuto il bacino e non la coscia. Morale: un mese fermo e con le stampelle ed addio Roubaix, anche se sono andato lo stesso là, ma per visitare il parco di Eurodisney con mia moglie e mia figlia.
L'anno seguente torno alla carica e stavolta va tutto al meglio: arrivo preparatissimo, dopo avere disputato quattro gran fondo di fila che andavano dai 170 ai 185 chilometri l'una. Il viaggio è stile vecchia maniera, in quanto quando parli della Roubaix a gennaio trovi dieci che vengono con te a farla, ma a giugno, quando è il momento di partire, vai da solo e basta. Parto in cuccetta, arrivo a Parigi e prendo il treno per Compiegne, poi in bici fino a Choisy au Bac, luogo di partenza dove ritiro il numero. Proprio nella pedalata di ritorno in albergo (10 km) foro il tubolare posteriore e dico: "Se foro oggi, domani che cosa succede?" Il giorno dopo sono motivatissimo e parto a spron battuto: la corsa non ha gli stessi toni agonistici delle nostre gran fondo, ma mi impegno e mi gongolo quando passo nei posti mitici: la foresta di Arenberg mette quasi paura e meno male che sulla destra c'è un sentiero, se no il pavè sarebbe terribile. I francesi sono cicloturisti quasi puri e per mettere i timbri (altro che cavigliere e tessere magnetiche) ci fanno entrare in scuole e palazzetti dello sport, dove fai la coda per mettere il timbro e per mangiare qualcosina. Nonostante sei controlli, il mio tempo totale è di 10 ore e 35 minuti totali sui 265 chilometri, di cui circa 47 di pavè. Niente foto nella foresta di Arenberg e niente giro del velodromo all'arrivo, ma la soddisfazione è enorme lo stesso. Nella foto qui sotto è ripreso il passaggio in un tratto di pavè (Chemin des prieres) dopo 170 km, cioè a 95 km dall'arrivo (io sono l'ultimo del gruppetto).
Il blocco di pavè fa bella mostra di sè in casa, ma quest'anno si è ripresentata l'occasione di ritornare lassù, anche perchè c'erano amici ben determinati e la mia famiglia voleva tornare ad Eurodisney. Volete la morale? Sono ripartito da solo come l'altra volta! Gli imprevisti si sono sprecati fin dalla partenza del treno, ma, bene o male, arrivo a Compiegne. Stavolta il ritrovo è a Cambronne les Ribecourt, cioè a 15 km da Compiegne nord ed io sono in albergo a Compiegne sud, quindi i km da fare sono 25. Parto senza problemi e vado a ritirare il numero e ricado nel solito problema della foratura del sabato, pensando che mi porterà bene per il giorno dopo.All ritorno mi prendo un acquazzone più simile ad una tromba d'aria che a pioggia ed arrivo bagnatissimo in albergo. Alla mattina riparto con gli indumenti ancora umidi e mi faccio i 25 km al buio, ma, dopo mille e mille problemi, sono finalmente alla partenza! Sono le 6,15 e parto con un gruppetto di italiani (si parte alla francese dalle 4 alle 7). Tutto bene, mi sento in forma e mi alimento con attenzione; l'unico problema è quello che, cambiando dal 52 al 39 per affrontare gli strappetti in agilità, la catena cade spesso, ma sto attento e poco male. Nell'arrivare al primo controllo, dopo 60 km circa, mi accorgo che ho la gomma dietro sgonfia, ma chiedo la pompa ad un signore e sono a posto, solamente che perdo più tempo del previsto e perdo il gruppetto in cui ero. Uno di loro è rimasto dietro e fa una tirata di 5-7 km per rientrare: io non riesco a dare i cambi; lo ringrazio di avermi fatto rientrare e tutto è a posto. Siamo a 100 km ed inizia il pavè: la gomma si è sgonfiata nuovamente e con il cerchio tocco le pietre: devo fermarmi e cambio il tubolare. Un po' di asfalto ed ecco il secondo tratto di pavè: prendo forte un sasso e buco ancora: nooo!! Non ho più tubolari ed ora? Provo a chiedere una ruota, o la bici dei ritirati, ma non c'è nulla da fare! Un signore che segue tre ragazzi di Lainate (MI) si ferma a chiedere informazioni ed io ne approfitto: mi fa salire con la bici e mi "godo" il bello della Roubaix dalla macchina: davvero un coltello piantato in pancia! Vedo la foresta di Arenberg (quest'anno facevano anche la foto!!!)ed i passaggi mitici fino al velodromo. Le facce contente di chi ha finito la corsa contrastano con la mia che è l'espressione del morale che ho sotto le scarpe. Tanti sacrifici, allenamenti, problemi e tutto è finito in una bolla di sapone: che sfiga! Mi è venuto in mente di mandare a quel paese la Francia, la Roubaix e tutto, ma al velodromo mi son detto: "Devo tornare e tornare da vincitore!" Qui non fanno una classifica, ma vince chi arriva in fondo a questa prova massacrante. Il morale è ancora basso, ho venduto quella maledetta bici e sto pensando all'edizione del 2002 (la manifestazione si svolge ogni due anni) e penso di tornare lassù con un'ammiraglia al seguito, cento camere d'aria ed un fotografo personale. E' vero, poi tutto si potrà risolvere come al solito e dovrò partire da solo, ma sarò talmente determinato che riuscirò a domare le mitiche pietre per la seconda volta. Vi prometto che metterò più di una foto in questa pagina e potrò allora sorridere di tutti questi maledetti imprevisti.